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11 Jan 2022
5 min read

Cosa sanno di noi i siti che visitiamo? Una startup italiana ci aiuta a capirlo

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ROMA - Che cosa sanno di noi i siti che visitiamo ogni giorno? Posizione geografica, indirizzo Ip, account di Facebook, nomi, email : ogni volta che ci colleghiamo a una pagina decine di dati transitano sulla rete e vengono gestiti da diverse piattaforme per gli scopi più vari. Difficile però che un utente comune possa risalire a tutti gli usi fatti dei suoi dati, a meno che non abbia profonde conoscenze tecniche o molto tempo da dedicare alla lettura delle "privacy policy", quei documenti obbligatori per legge, lunghi e noiosi, confinati spesso in link nascosti. Eppure a questa situazione potrebbe presto porre un rimedio una startup tutta italiana, Iubenda, lanciata da poche ore ma assai promettente.

L'idea di Iubenda, semplice e al tempo stesso rivoluzionaria, è questa: mostrare in una rapida schermata e con un click tutti gli usi che vengono fatti delle informazioni personali su un sito, senza spulciare documenti o improvvisarsi avvocati. E che la gestione della privacy online sia un argomento delicato lo dimostrano i fatti di cronaca, anche recente: lo stop imposto dall'Unione Europea a Google, l'accesso ai numeri della rubrica del social network Path o le periodiche polemiche sulle impostazioni  di Facebook, tanto per fare un esempio.

"Lavorando su altri progetti mi scontravo sempre con il problema di creare una policy sulla gestione della privacy ", spiega a Repubblica.it Andrea Giannangelo, fondatore di Iubenda. "Ormai il sistema di Creative Commons (gestione dei diritti d'autore ndr) esiste da anni, ma qualcosa di simile non c'è per la privacy e per chi lavora sul web si tratta di una enorme perdita di tempo". Da una parte ci sono quindi i gestori dei siti che percepiscono come un peso (obbligatorio per legge) il dover spiegare l'uso dei dati sui propri portali, e dall'altra gli utenti che poi quelle spiegazioni neppure le leggono.

"Noi offriamo un servizio semplice ed elegante e con pochi click si può generare una policy riferita alla normativa europea, una delle più stringenti  -  continua Giannangelo - mentre un team legale è costantemente all'opera per monitorare eventuali modifiche, in modo che chi gestisce un sito non debba più preoccuparsi di questi aspetti".

Nella prova di Repubblica.it, Iubenda si è rivelato semplice da usare per chi vuole generare la sua policy e di facile consultazione per l'utente finale. La creazione del documento passa infatti attraverso un sistema di widget: basta aggiungere i servizi che il proprio sito utilizza, siano essi il pulsante like di Facebook o Google analytics (che prevedono l'uso dell'indirizzo ip e la creazione di un cookie tramite browser) o un altro tra i 27 servizi più usati.Se dal lato gestore tutto fila liscio, va anche meglio su quello utente. Il documento finale generato ha infatti due diverse visualizzazioni: c'è quella più strettamente "legale" e quella semplificata, che attraverso delle icone fa emergere a colpo d'occhio quali dati il sito tratta e quale uso ne viene fatto. Il risultato ha portato Iubenda a generare in un solo giorno 1.500 policy, oltre a raccogliere recensioni positive anche dalla stampa di settore anglosassone."Il nostro obiettivo è semplificare il mondo legale attraverso la tecnologia", continua Giannangelo. "E ci sono tantissime altre novità che introdurremo nei prossimi mesi". Quanto promettente possa rivelarsi il settore lo dimostra poi il finanziamento di 100mila euro ricevuto da Iubenda da investitori noti nella scena tecnologica italiana come Marco Magnocavallo, Andrea Di Camillo e dal fondo Digital Investment Sca Sicar, con advisor dPixel.

Ma quella di Iubenda è una storia che va oltre il prodotto che offre e parte dal fondatore Andrea Giannangelo, startupper di 22 anni, abruzzese di origine e bolognese d'adozione. Oltre a lui il team di Iubenda include Domenico Vele, sviluppatore di 38 anni, e Carlo Rossi Chauvenet, legale trentenne, divisi tra Milano e Bologna. Idea, team e finanziamenti italiani dimostrano una volta di più la vivacità anche nel nostro paese del settore web, che negli ultimi anni sembra essersi risvegliato dal torpore seguito alla fine della bolla delle dotcom, come la vittoria dell'italiana Beintoo all'ultima edizione di LeWeb ha di recente dimostrato."Nella mia esperienza il fatto di trovarmi in Italia non è mai stato un grande limite  -  spiega Giannangelo  -  l'ambiente italiano ha delle differenze e bisogna esser capaci di trarre vantaggio da queste. Restare in Italia non è una religione, così come non lo è andare via, ma le cose stanno cambiando a grande velocità e il sistema ha cominciato a muoversi insieme, a sostenersi a vicenda e a lavorare di squadra".

Leggi l'articolo originale: www.repubblica.it/tecnologia

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